Monumenti per difetto
Il 24 marzo 1944, 335 innocenti furono trucidati dai nazi-fascisti alle Fosse Ardeatine, in una delle pagine più buie della seconda guerra mondiale. Nel luglio di quell’anno fu bandito il primo concorso dell’Italia liberata per la costruzione di un mausoleo nel luogo dell’eccidio. Questo libro parte da lì: in occasione del settantesimo anniversario della strage, Adachiara Zevi riflette sui rapporti tra architettura e memoria, prendendo in esame alcuni casi esemplari di monumenti, musei e memoriali che si distinguono per qualità e originalità urbanistica, architettonica e artistica. Il Mausoleo delle Fosse Ardeatine è il primo monumento a non essere concepito come oggetto da contemplare ma come percorso «da agire», per far rivivere il tragitto seguito dalle vittime; le forme – naturali, architettoniche e artistiche – non sono intese come stazioni di arrivo, ma come tappe intermedie di un circuito continuo.
Da Roma ci spostiamo a Berlino, per raccontare il memoriale progettato da Peter Eisenman: una gigantesca griglia deformata e sbilenca che registra il passaggio dal monumento come percorso al monumento come brano di città. Se il «contro-monumento», nella versione di Jochen Gerz, prevede già nella concezione la sua sparizione, spetta alle «pietre d’inciampo» ideate da Gunter Demnig l’intuizione del «memoriale diffuso» dedicato a tutti i deportati: discreto, centrifugo, anti-gerarchico e in progress, è un enorme mosaico della memoria europea le cui tessere sono le decine di migliaia di sampietrini collocati davanti alle abitazioni dei deportati, che restituiscono loro dignità di persone e un luogo dove ricordarli.
Senza la pretesa di essere esaustivo o imparziale, questo studio si basa sulla convinzione che, in tema di memoria, la testimonianza artistica, o il contenitore architettonico, non sono mai indifferenti, né tantomeno neutrali.