Dei Delitti e delle Pene
Se c' e' un' opera oggi piuttosto trascurata, nonostante la sua grande capacita' di parlare anche agli uomini della nostra epoca, e quindi piu' che mai meritevole di essere diffusa sul mercato, questa e' proprio l'immortale "libriccino" che, da oltre due secoli, ha impresso una svolta decisiva nel modo di intendere la posizione dell' uomo dinanzi alla giustizia penale. In questo caso, al di la' del valore oggettivo delle pagine di Beccaria, cio' che conta e' anche - anzi soprattutto - la prefazione di Calamandrei: il non dimenticato maestro del diritto che qui parla, tuttavia, in veste di cittadino e di uomo di cultura segnato dalla ventata di barbarie che, allora, stava ancora attraversando l' Italia e l' Europa. Lo scenario in cui Calamandrei rilegge Beccaria e' quello della Firenze dei primi anni Quaranta. Sono gli anni "dell' attesa piu' angosciosa, della speranza piu' disperata" per un gruppo di intellettuali di diversa estrazione ideologica, laici e cattolici, ma accomunati da un forte ideale di rinascita etica e sociale di fronte allo scempio dei valori di liberta' e di dignita' dell' uomo prodotto nel nostro Paese dagli orrori della dominazione nazista e dal dramma della guerra civile. E in questo contesto Calamandrei si accosta a Beccaria con una nuova, e assai piu' partecipe consapevolezza, perche' "la sorte ci ha ricondotto a vivere i tempi contro i quali egli protestava, e nella nostra esperienza vissuta abbiamo ritrovato il piu' persuasivo commento al suo libro". Il parallelo e' con le "inutili crudelta' " contro le quali Beccaria si era battuto nel suo secolo, attraverso pagine che, dopo di lui, a lungo si erano lette "con la distaccata curiosita' con cui si senton narrare remote costumanze di evi barbari". E invece, osserva Calamandrei nel ricordo delle nefandezze di cui e' stato testimone, negli ultimi anni "tutto e' tornato vero: il "crimen sine lege", una tortura "metodicamente inflitta a popoli interi, intere regioni accuratamente attrezzate da sale di suplizio, 80 milioni di torturatori marcianti in bell' ordine, con nuovi lucidi congegni inventati dalla loro scienza, alla carneficina d' Europa". E allora, dopo tutte queste esperienze, le antiche parole di Beccaria si caricavano di un tale "accento di vivente umanita' ", da poter essere percepite "come dettate dall' angoscia di un contemporaneo". Naturalmente non c' e' soltanto questo nella riflessione di Calamandrei su "Dei delitti e delle pene". C' e' una evidente ammirazione per la "filosofia del cuore" che ispira le idee di Beccaria in materia di politica criminale, per l' equilibrato utilitarismo che lo guida, per le coraggiose posizioni assunte a tutela dei diritti della persona contro gli arbitri del potere. C' e' un forte interesse per la sua figura di "moralista" e di "rivoluzionario", cioe' di un "uomo d' azione che da se' solo, armato soltanto di quel piccolo libro, abbatte' i patiboli e scardino' le porte delle prigioni, per farvi penetrare un raggio di umana pieta' ". Ma, al di la' di cio' che Beccaria aveva rappresentato nel suo tempo, a Calamandrei nel 1945 premeva soprattutto rituffarsi nel suo "breviario" con la commozione di un ritorno alle fonti della nostra civilta' giuridica, al "dogma morale" dell' amore per l' uomo, al rispetto della liberta' "concepito anzitutto come rispetto della legalita' ". Una lezione che non ha cessato d' essere attuale.