L'Architettura della partecipazione
Il percorso accademico e professionale di Giancarlo De Carlo congiunge in un’unica vocazione due termini etimologicamente contrapposti: architettura e anarchia, tenendosi sempre al riparo dalle allucinazioni utopistiche tipiche, ad esempio, degli anni Sessanta e Settanta, e anzi mantenendo sempre dritta la barra della «ricerca di un metodo e, soprattutto, di un rigore capaci di restituire credibilità all’approccio disciplinare (Tafuri)». Nello scritto qui pubblicato per la prima volta in maniera autonoma egli tenta di dimostrare in forma lineare e lucida come l’idea di una architettura partecipata – «quando tutti intervengono in egual misura nella gestione del potere, oppure – forse così è più chiaro – quando non esiste più il potere perché tutti sono direttamente ed egualmente coinvolti nel processo delle decisioni» – possa costituire un’utopia realistica, cioè compiutamente realizzabile. Le distinzioni teoriche messe in campo a tale scopo: progetto vs processo, funzione vs uso, ordine vs disordine e così via, forniscono un armamentario utile ancora oggi per chi tenti di mettere in moto nuove pratiche di partecipazione non solo in campo architettonico (si pensi a ciò che avviene oggi in Italia nel terreno della politica o a idee come l’open source e wikipedia). A chiudere il quadro due testi relativi alle due principali esperienze realizzate sul piano urbanistico (il piano di Rimini) e architettonico (il villaggio Matteotti di Terni) a dimostrazione della lunga, seppur conflittuale, fedeltà decarliana verso Le Corbusier, nonostante tutto suo modello costante perché «non si rivoluziona facendo le rivoluzioni, si rivoluziona presentando soluzioni».