De Profundis
Fra il giugno 1944 e l’aprile 1945, rifugiato in una casa di famiglia nel basso Friuli, Satta scrisse queste pagine, cariche di sarcasmo e profonda amarezza, nel tentativo di risalire a certe ragioni nascoste della paradossale, atroce storia italiana dei vent’anni precedenti. E subito si poneva due domande inevitabili: perché gli italiani avevano accettato, e nella stragrande maggioranza sostenuto, il fascismo? E perché, una volta spinti nella guerra, quegli stessi italiani avevano subito sperato nella sconfitta? Più che sul ripugnante manipolo dei veri fascisti, attori occasionali e brutali, ma sempre accompagnati da una «scia di ridicolo», l’occhio di Satta si fissava sulla figura dell’«uomo tradizionale», il medio cittadino di stampo ottocentesco, attaccato alla libertà soltanto come «garanzia del privilegio»: era lui che l’aveva subito ceduta al fascismo, impaurito dagli squarci che si erano aperti nel vecchio ordine; era lui che aveva accettato la «servitù per non morire». Così, quando l’ultima guerra aveva rivelato la sua natura di «spettacoloso omicidio rituale», quello stesso «uomo tradizionale», figura ormai grottesca e stravolta, ma pur sempre universalmente diffusa, preso dal panico si era buttato a sognare l’impossibile restaurarsi di un vecchio ordine che ancora una volta lo tranquillizzasse. Questa è la durissima, cupa visione che Satta ci presenta: traversata da continue, e talvolta sgradevoli asprezze, è sostenuta da una vena di grande moralista nero, oltre che dalla dolorosa asciuttezza del narratore che si sarebbe poi rivelato col Giorno del giudizio.
Autore
Salvatore Satta
Disciplina
Editore
Anno di pubblicazione
1980
Traduzioni
Editori associati (tassonomia)