Dal Diario di un borghese
Non sempre il caso è cieco, se questo è un libro «nato per caso». Bianchi Bandinelli dirigeva nel 1945 la rivista «Società». Trovatosi a dover sopperire nel primo numero ai contributi di alcuni collaboratori inadempienti, pubblicò sotto lo pseudonimo Giovanni Douro un gruppo di fogli di un suo quaderno personale. Questi attrassero l'attenzione di Alberto Mondadori, che volle avere l'intero manoscritto, lo pubblicò una prima volta nella Collana « Orientamenti » della Mondadori e lo ristampò nella «Cultura» del Saggiatore, accresciuto di articoli, note, appunti usciti in seguito e di un «Epilogo» che ne riprende a aggiorna i temi. Il libro comincia dal 1921, ma la sua vera data di nascita è da collocarsi nel 1922, quando Bianchi Bandinelli capisce con singolare precocità la crisi della borghesia che ha potuto permettere o favorire l'invasione del fascismo. Da allora, il suo compito di vita, solidale con la sua maturazione di filologo e di storico dell'arte antica, diventa quello di guarirsi dalla borghesia in cui è cresciuto. Ma una guarigione individuale dalla borghesia rimarrebbe qualche cosa di ancora egotistico, se non comportasse il ritrovamento di un rimedio per uso comune, propriamente sociale e collettivo. Fin dalla prima stampa del Diario, l'Editore poteva notare che «due sono i temi fondamentali di queste riflessioni: il problema di una maggiore giustizia sociale, che porta con sé l'esigenza di una profonda trasformazione della società attuale; e quello della continuità, in una società così trasformata, della tradizione culturale del mondo europeo». Quali risultati di lucidità diagnostica e attiva possano uscire dalla concertazione dei due temi, si coglie quasi a ogni pagina; talune previsioni sembrerebbero addirittura profetiche, se la veggenza non fosse anche la logica controparte della cecità dell'avversario, oltre che un merito guadagnato giorno per giorno dall'autore con l'instancabile attenzione ai fatti e l'intrepido esame delle proprie ed altrui ragioni, o torti. Tanto che questo Diario potrebbe anche leggersi come un «romanzo della formazione»; un Bildungsroman, dove alcuni episodi, in particolar modo quello dell'incontro con Hitler e Mussolini," espongono il protagonista a un rischio non cercato, dal quale si vuol vedere come uscirà.